La fortezza di Gaeta difficilmente, al principio del secolo scorso, poteva esser presa da chi non avesse il dominio del mare; eppure i francesi vollero provarci ugualmente, ed avendo nel febbraio il comandante del presidio rifiutato di consegnare la città, il generale Reynier aveva occupato il vicino bastione di Sant’Andrea ed aveva lasciato nelle vicinanze della piazzaforte un piccolo corpo sotto il comando del Lacour perché iniziasse le operazioni d’assedio.
Più di centotrenta bocche da fuoco munivano i formidabili bastioni; le vettovaglie e le munizioni abbondavano inoltre potevano essere rinnovate dalla flotta inglese dell’ammiraglio SIDNEY SMITH, che difatti rifornì la città nei primi di maggio; infine dentro seimila uomini difendevano la piazza, che con i nuovi arruolamenti e con l’arrivo di galeotti liberati dagli Inglesi in Sicilia salirono ad ottomila. Comandava la piazzaforte di Gaeta il principe D’ASSIA PHILIPPSTHAL, nemico implacabile dei Francesi, capitano rude, attivo e valoroso, che solo grazie alla sua energia e severità era riuscito a tener salda la guarnigione composta di elementi così eterogenei ed indisciplinati (i galeotti)
Il generale LACOUR tenne il comando delle truppe assedianti fino al 16 maggio; tre volte (il 23 febbraio, il 21 marzo e il 6 aprile) ma senza successo fece cannoneggiare la fortezza, altrettante volte intimò la resa, spesso subì gli assalti improvvisi delle bande di FRA DIAVOLO e il 25 aprile, il 13 e il 15 maggio costrinse alcuni reparti della guarnigione usciti all’assalto a ritirarsi entro le mura. Quella del 15 fu la sortita più audace e più proficua di tutto l’assedio: quattrocento soldati, in pieno giorno, quasi mandati allo sbaraglio giunsero – fino al centro delle opere francesi sul Monte Secco, uccisero, ferirono e fecero prigionieri parecchi francesi, catturarono non poche armi e guastarono alcuni pezzi d’artiglieria.
Ma il 18 maggio la direzione dell’assedio fu assunta dal Massena. Sotto di lui le truppe francesi salirono a dodicimila uomini, le batterie a ventotto, i pezzi di artiglieria a piu di cento; s’intensificarono i lavori d’approccio, che furono diretti dai generali CAMPREDON e VALLONGUE; quest’ultimo il giorno 11 giugno fu ferito gravemente e cessò di vivere sei giorni dopo.
Il 15 gli assediati tentarono una sortita, ma con scarsi risultati. Allora rinunziarono ad ogni tentativo di offensiva e dedicarono tutta la loro attività alla difesa, mentre nei Francesi si andava di giorno in giorno sviluppando lo spirito aggressivo. Sul mare, alla flottiglia borbonica avevano opposto una
flottiglia di ventiquattro imbarcazioni cannoniere sotto il comando del genovese BAVASTRO e del napoletano BAUSAN. Quest’ultimo, a Castellone, assalito dalla squadriglia nemica, non solo le tenne testa, ma riuscì a metterla in fuga.
Il 7 luglio, essendo stati ultimati i lavori d’approccio, disposte le artiglierie, alla presenza del re Giuseppe cominciò il bombardamento martellante della piazzaforte. Il 10 il principe di Philippstahl, che in quei giorni non si era risparmiato rimanendo sempre esposto al fuoco, fu ferito alla testa e fu trasportato a bordo della nave inglese Tonnant. Gli successe nel comando della piazza il maggiore Francesco HOZ, che respinta un’intimazione di resa, continuò la resistenza. Ma questa non doveva durare a lungo. Sebbene la città fosse ben provvista di viveri e munizioni e difesa da seimila uomini e le artiglierie nemiche non avessero fatto nei bastioni che due brecce facilmente difendibili, la sera del 18, all’insaputa degli Inglesi, l’Hoz chiese un armistizio di tre giorni e, non essendo riuscito ad ottenerlo, capitolò a condizione che al presidio fossero concessi gli onori militari e il permesso di recarsi in Sicilia. Dopo cinque mesi di assedio, durante il quale i Francesi avevano perduto due generali, il Grigny e il Vallongue, una trentina di ufficiali e un migliaio di soldati, la mattina del 19 luglio del 1806 Gaeta apriva le porte al generale Massena. La guarnigione, secondo i patti della capitolazione, salì a bordo delle navi, ma mille soldati circa rimasero a terra e chiesero di arruolarsi sotto le bandiere del Bonaparte.
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