CRONACHE DI PALMI NEL DECENNIO FRANCESE (Prima parte)

Roberto Avati

L’Alba della Piana
Dicembre 2014 

Nel periodo compreso tra i primi mesi del 1806 e la tarda primavera del 1815, la Calabria e tutta la parte continentale del regno di Napoli, subirono l’occupazione ed il controllo militare, politico ed amministrativo dell’esercito francese. Nei primi anni quest’occupazione si palesò con atti di violenza, rapina e sfruttamento. Tali vessazioni si attenuarono, in parte, quando, nel 1809, Napoleone Bonaparte affidò il regno a Joachin Murat, marito della sorella Carolina, ed eccezionale comandante dei suoi squadroni di cavalleria. Murat, nell’intento di creare uno stato, su cui mantenere la sovranità oltre qualsiasi mutamento politico, s’impegnò per migliorare le condizioni del paese e dei suoi sudditi. Nel gennaio del 1814, l’ansia d’indipendenza lo portò ad abbandonare l’augusto cognato ed a sottoscrivere una convenzione con il governo austriaco ed un armistizio con il governo inglese, tranne poi, nel febbraio del 1815, a riavvicinarsi a Napoleone. Nel tentativo di mantenere la sovranità sul Regno, vagheggiò, pleonasticamente, l’idea di un’Italia unita. Durante l’intero arco della loro permanenza in Calabria, i francesi dovettero fronteggiare gli attacchi delle bande di briganti, assurti a partigiani dei Borbone, a cui, spesso, si univano quanti mal sopportavano le violenze degli occupanti. Nello stesso periodo la Calabria Ulteriore era esposta agli sbarchi degli inglesi che raggiungevano facilmente le sue spiagge dalle vicine coste della Sicilia, ancora in mano a Ferdinando IV. Nel luglio del 1806, gli inglesi, dopo uno sbarco consistente di truppe, riuscirono a conseguire un’importante vittoria campale nella piana di Sant’Eufemia nei pressi di Maida. Tuttavia i francesi, dopo una drammatica ritirata lungo la costa ionica, con l’aiuto dei rinforzi sopraggiunti dopo la caduta della fortezza di Gaeta, in pochi mesi riuscirono a rioccupare gran parte della Calabria. Soltanto il lembo più estremo della regione, corrispondente pressappoco all’odierna provincia di Reggio Calabria, fu ripreso dai francesi nei primi mesi del 1808, dopo la sconfitta a Mileto di un’altra spedizione anglonapoletana questa volta comandata dal principe d’Assia Philpstadt. La pace per l’estrema parte della Calabria non fu duratura in quanto, nel giugno del 1809, gli inglesi organizzarono una potente spedizione navale contro il continente. Il generale Parthennaux, su ordine di Murat, fu costretto a fare arretrare le truppe fino a Monteleone e ciò permise ai briganti di sbarcare ed occupare alcuni paesi. In tutti questi anni gli abitanti di Palmi, punto strategico sulla via per Reggio, subirono ripetutamente le violenze dei briganti e delle truppe francesi. Questo periodo storico, nei suoi aspetti generali, è stato studiato da Angela Valente nel suo “Gioacchino Murat e l’Italia Meridionale”, da Anastasio Mozzillo nelle sue “Cronache della Calabria in guerra” e da Umberto Caldora con “Calabria Napoleonica”. A loro si deve il merito di aver portato alla luce il copioso materiale custodito nei fondi dell’Archivio di Stato di Napoli. Tuttavia nessuno studio è stato intrapreso per fare una dettagliata cronaca di quanto accadde nei singoli paesi.
Questa lacuna, almeno per il comune di Palmi, grazie alla notevole mole dei documenti conservati presso gli Archivi di Stato di Reggio Calabria e Catanzaro, è colmata dal presente lavoro nel quale, oltre alle notizie raccolte nei libri dello Stato Civile o nei conti comunali dei vari paesi, sono aggiunte tutte le altre informazioni di carattere rilevante contenute in testi stranieri o nelle opere di alcuni scrittori locali. Nella trattazione si è data la precedenza alla narrazione degli avvenimenti militari, secondo l’ordine temporale degli stessi, mentre nel seguito ho dato spazio agli aspetti generali del periodo nella cittadina.

GLI SCONTRI A PALMI E PIETRENERE

Nei primi mesi del 1806 le truppe francesi, al comando del generale Andree Massena, dopo aver facilmente occupato Napoli e battuto a Campo Tenese l’inconsistente esercito napoletano, occuparono l’intera Calabria. Successivamente il comando delle truppe venne affidato al generale Jean Luis Reynier che, il 4 luglio nella battaglia di Maida, fu sconfitto dal generale John Stuart comandante di un corpo di spedizione inglese. Dopo una drammatica ritirata lungo la costa ionica, il generale Reynier, con i rinforzi che la caduta del forte di Gaeta aveva reso disponibile, si rimise in marcia per riconquistare l’intera Calabria. Gli inglesi, nel frattempo, erano ritornati in Sicilia, pur lasciando dei presidi nei forti di Scilla e Reggio. All’avanzata francese si contrapponevano soltanto le truppe irregolari napoletane di “massa”, composte da ex detenuti, liberati o fuggiti dalle carceri, e da sbandati delle formazioni regolari, che consapevoli della loro effimera potenza, all’apparire dei francesi, si ritirarono velocemente verso i più facili punti d’imbarco per la Sicilia, non disdegnando di saccheggiare tutti i paesi che attraversavano. Ai primi d’ottobre i francesi erano già a Palmi ma sui piani della Corona era ancora rimasto un consistente nucleo di massisti. A testimonianza della loro presenza rimangono i biglietti, conservati nei conti comunali dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria1, che i capitani di queste formazioni rilasciarono come “boni”, al comune di Bagnara per ben 8.067 razioni di pane che gli amministratori furono costretti a concedere in quel frangente. I boni delle razioni sono firmati dal famoso comandante generale Papasodero, un ex prete che aveva seguito il cardinale Ruffo nel 1799 e le cui gesta meriterebbero un capitolo a parte, dal capitano Francesco Caruso o sottoscritti, con il segno di croce, dai capitani Francesco Zagari, alias Fica, da tale Farao, da Diego Cammereri di Solano, da Giuseppe Ottinà di Ceramida Pellegrina, da Giuseppe Pitasi di Pellegrina, da Rosario Firicazzo per conto del capitano Zagari e quelli per i rifornimenti della guardia della Praya, da Rosario Gramaglia. Le ricevute siglate dagli analfabeti sono tutti vistati dal capitano Francesco Caruso. Delle esplicite richieste di rifornimenti rimane traccia nel testo di un biglietto inviato, al non meglio identificato don Vincenzino, dal comandante Luigi Caruso e dal capitano Francesco Zacheria, infatti vi si legge “Vi prego di mandare 400 razioni di pane e cagio per servizio di queste truppe a massa. Perciò vi dico di mandarli solleciti perché questa gente è morta di fame. Non si faccia il contrario di come dico”.

Anastasio Mozzillo nelle sue “Cronache della Calabria” precisa che il Papasodero, in una lettera al brigadiere Cancellier, del 18 ottobre, parla delle tristi condizioni dei massisti sui Piani della Corona, costretti a dormire sulla nuda terra, laceri ed affamati e racconta, nei minimi particolari, del tranello teso dai cittadini di Palmi per catturarlo. Al suo accampamento erano giunti il capitano inglese del castello di Scilla, col suo segretario ed il capitano Caruso di Bagnara, per informarlo che intendevano proseguire per Palmi dove gli abitanti li attendevano per trattative di resa. Il Papasodero accompagnò il gruppetto fino alla porte della cittadina rinunciando però ad entrarvi, tale scelta si rivelò oltremodo saggia in quanto gli abitanti, una volta accerchiati l’inglese ed il Caruso, chiesero chi di loro fosse il Papasodero ma i due, essendosi accorti che nel frattempo si avvicinava un capitano francese, riuscirono a squagliarsi per un vicolo. Il 24 ottobre, contro i massisti, partirono da Mileto 500 uomini del 23° reggimento leggero francese ed il giorno dopo una colonna di Svizzeri e di cacciatori a cavallo che raggiunsero Seminara. Il 27 ottobre queste truppe si diressero verso Bagnara trovando di fronte sui Piani della Corona le bande del Papasodero. Nello scontro settanta massisti furono finiti dalla cavalleria, ma, proprio in quei giorni, un commando di 150 uomini, provenienti dalla Sicilia, al comando di tale Gerace raggiunse Oppido e sequestrò il vescovo Tommasini, reo di simpatie verso i francesi, portandolo in Sicilia. Sembra che il generale Reynier, avvertito del sequestro, tentò inutilmente di fare intercettare la colonna nemica. Da Reggio il generale Nunziante, forte di 1.200 uomini del Reggimento Real Sannita, spedi un’avanguardia verso Solano e Melia al comando dei capitani Antonio Rossaroll e Raffaele Golia mentre il brigadiere Cancellier arrivato da Messina si portò a Melia. Come narra il Costanzo nel suo “Giornale dei vari fatti d’arme combattuti nella Calabria dal mese di agosto 1806 al cinque aprile 1808” contro di loro si mosse da Palmi il battaglione svizzero e da Seminara il 22° leggero, in tutto 3.000 uomini con due cannoni che, il 22 dicembre, raggiunsero Melia incontrando una forte resistenza da parte dei soldati regolari del Reggimento Sannita, sostenuti anche da un drappello di cavalleria. I francesi riuscirono a far indietreggiare i nemici ed occuparono Villa S. Giovanni, spingendosi poi fino alle trincee di Pentimele ma si ritirano dopo qualche giorno. In questo periodo la guarnigione inglese che si trovava a presidio del castello di Scilla, utilizzando alcune barche, effettuava rapide incursioni nei paesi vicini alle coste. Famosa fu la spedizione perpetrata una notte contro Bagnara, con l’aiuto di duecento massisti che attaccarono contemporaneamente il paese da terra. Nel corso di questa spedizione, secondo gli storici locali, furono sopraffatti i soldati francesi del 23° reggimento leggero posti di guardia al paese ma, nonostante le mie accurate ricerche, di questa azione non si hanno riscontri ufficiali. Gli scrittori locali parlano anche della presenza tra le file inglesi del mitico Michele Pezza, alias Fra Diavolo; in effetti nei conti comunali di Bagnara2 si parla delle confische di grano operate da Fra Diavolo ma per tale personaggio viene descritto come il comandante inglese del forte di Scilla. Certamente Michele Pezza partecipò ad alcune fasi della resistenza della città di Amantea all’assedio dei francesi ma la sua effettiva presenza nelle nostre zone non è certa. In questo periodo furono proprio gli inglesi a contrastare le rapine e le violenze delle masse infatti nel 1806 durante il ripiegamento all’avanzata di Reynier sembra che i cittadini di Palmi chiamarono gli inglesi del presidio di Bagnara per ricevere protezione.
In effetti, degli esiti di una simile richiesta si ha riscontro ufficiale soltanto per Bagnara. Infatti, nei conti comunali del paese, custoditi presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria3, risulta che “a 16 giugno dato alla truppa inglese allora quando venne per liberarci dell’infame capo Fica per pane, vino, olio ed un prosciutto 5,35 ducati, più per un tumulo e mezzo di avena per il cavallo, ducati 1,95”. Anastasio Mozzillo nelle sue “Cronache della Calabria” riporta le lettere del colonnello Francesco Carbone, comandante le truppe di massa, nel quale sono narrate le ultime vicende di queste truppe prima del ritiro in Sicilia, ordinato dal brigadiere Cancellier e del consigliere Fiore. Nel resoconto è precisato che il 22 dicembre parte delle truppe di massa che avevano già raggiunto le alture di Solano e Melia, avendo appreso dell’imminente arrivo dei francesi da Seminara e Palmi, fuggirono traghettando in Sicilia, soltanto una parte si portò a Scilla mentre i reparti francesi raggiunsero Villa alla ricerca del Carbone e degli altri capi che credevano in quel luogo. A Scilla, le truppe massiste non erano bene accette dal comandante inglese del castello per cui fu deciso di imbarcarle e condurle in Sicilia. Il Carbone aggiunge che a Palmi, in quel periodo, era presente il generale Reynier. Passò l’intero inverno ed i francesi non riuscirono ad occupare i forti di Reggio e Scilla e nel maggio del 1807 furono gli avversari a riprendere l’iniziativa facendo sbarcare sulle coste calabresi un corpo di spedizione al comando del Principe d’Assia Philpstadt, il valoroso difensore di Gaeta. Il Principe intraprese questa spedizione con molte perplessità in quanto il nucleo principale delle forze a sua disposizione era costituito dagli uomini di massa. Le truppe regolari furono fatte sbarcare a Villa e Bagnara mentre parte delle truppe di massa furono spedite verso la ionica in direzione di Oppido al comando del maggiore Paolet e del tenente colonnello Mirabelli. Secondo altri cronisti lo sbarco di una parte delle truppe avvenne sulla spiaggia di Pietrenere il 9 maggio e fu protetto dalla famosa capitanessa di briganti Francesca La Gamba, originaria di Palmi. A Reggio alle truppe già presenti a presidio della città, si aggiunsero altri soldati per un totale di 3.500 fanti, 500 cavalieri, questo schieramento contava
anche sull’appoggio di 6 pezzi d’artiglieria e trecento massisti. Contemporaneamente la corvetta Aurora fece sbarcare, in diversi punti della costa, piccoli gruppi al fine di disorientare i francesi. Gli appartenenti a questi gruppi, anziché attaccare i francesi, seminarono il terrore nella popolazione dei paesi al punto che vennero definiti “criminali della peggiore specie” dai cronisti del Monitore, il giornale che fungeva anche da Gazzetta Ufficiale per il Regno di Napoli. Il generale Reynier, nel frattempo, riunì più di 6.000 uomini a Monteleone. Le truppe di Philpstadt avanzarono verso nord e già il 27 maggio, nei pressi di Mileto, tra gli opposti schieramenti vi fu una breve scaramuccia, prologo allo scontro decisivo del giorno seguente. Il 28 maggio la cavalleria del Principe, per errore, si spinse troppo in avanti e si ritrovò isolata contro il nemico che con i suoi volteggiatori la fece indietreggiare a tal punto che nella sua precipitosa ritirata travolse la fanteria. Nella battaglia tra i napoletani si distinsero il maggiore della cavalleria De Luca, originario di Nicotera, che morì durante la battaglia ed il capitano Migliaccio che, dopo aver avuto un figlio mortalmente ferito, riprese a combattere nell’intento di vendicarlo. Molti autori raccontano dell’episodio del soldato ferito che si rivelò essere una donna. Le perdite delle truppe leali ai Borbone furono di circa 1.500 uomini. Per il Serrao De Gregori tra i morti francesi vi fu il generale Camus ma di tale perdita non si ha ufficialmente nessuna notizia. Una versione leggermente diversa della battaglia è data dai cronisti francesi che raccontano di come, durante la notte precedente, i volteggiatori francesi comandati dal generale Jean Nicolas Abbé avevano ridotto le distanze dal nemico. L’avanguardia francese, formata da due battaglioni del 22° leggero e due squadroni del 9° cacciatori a cavallo, alle prime luci dell’alba, senza aspettare il grosso, attaccò l’accampamento nemico mettendo in rotta l’intera armata, al punto che un distaccamento di cavalleria giunse nel giorno stesso a Reggio ed il giorno seguente ritornò indietro senza trovare alcun ostacolo. Nella fuga il principe d’Assia, inseguito da un cavalleggero, finse di arrendersi ma, da gran fellone, nel momento che il militare pose piede in terra, gli scaricò addosso la sua pistola riuscendo a fuggire; sembra comunque che il cavalleggero restò soltanto ferito e poté riprendere servizio qualche mese dopo. Nelle pagine del “Tableaux des officiers tue ou blesses” del Martinien è segnalata, qualche giorno prima della battaglia, la morte, durante una perlustrazione, probabilmente nella scaramuccia ricordata, del sottotenente Collet del 9° reggimento a cavallo. Mentre nella data della battaglia sono indicati tra i feriti il tenente Delabarriere ed il sottotenente Grandjean, entrambi appartenenti allo stesso reparto del Collet, mentre tra gli effettivi del 23° reggimento furono feriti il capobattaglione Langeron, il capitano Audigé, il tenente Villot ed il sottotenente Gualletier infine, per le ferite riportate, il successivo 7 giugno morì il tenente Delsereaux. Le truppe di massa inviate sulla ionica al comando di Cancellieri e dei colonnelli Poletti e Mirabelli riuscirono ad entrare a Gerace, roccaforte dei francesi, ed il colonnello Carbone che percorreva le montagne riuscì a raggiungere l’altopiano di Prateria da dove, come risulta dai conti comunali di Galatro chiese rifornimenti al sindaco del paese4. Nella battaglia, trovò la morte anche un ufficiale palmese. Infatti, nell’Archivio di Stato di Reggio Calabria tra le richieste di assegnazione di posti presso i convitti di stato per l’anno 18185, esiste la richiesta di Pasquale Greco di Palmi che chiese di essere ammesso in qualche piazza franca od in qualche collegio perché non possedeva mezzi per vivere, segnalando, tra i meriti di devozione alla dinastia della sua famiglia, che suo padre era stato ucciso da ufficiale nell’attacco di Mileto. Legami con le gerarchie militari dei Borbone aveva anche l’avv. Francesco Commerci abitante a Palmi ma appartenente alla nobile famiglia di Mileto che sposò D.nna Giuseppa Kayser figlia del colonnello svizzero Stefano Kaiser di Messina. Nonostante questa schiacciante vittoria soltanto nei primi mesi del 1808 i francesi riuscirono a conquistare i forti di Scilla e Reggio. Qualche anno dopo un significativo episodio di guerra ebbe luogo proprio a Palmi. Infatti, nel giugno del 1809, sul Tirreno meridionale, di fronte alle coste calabresi, apparve, minacciosa, un’imponente flotta da sbarco composta da oltre cento navi, sia da guerra che da trasporto, al comando di questa spedizione vi erano il generale inglese Stuart ed il Principe di Salerno, Leopoldo. In effetti la spedizione non aveva uno scopo preciso ma era stata organizzata considerando che la minaccia di un consistente sbarco intimorisse i calabresi che collaboravano con l’invasore al punto da indurli a togliere ogni sostegno ai francesi e che un così imponente aiuto potesse convincere quanti mal sopportavano l’occupazione a ribellarsi. Sulle navi trovarono posto 8.000 soldati inglesi, 4.000 siciliani e 3.000 uomini di massa, quest’ultimi distinti in guide calabresi ed appartenenti ai corpi franchi, meglio definiti dal Monitore delle due Sicilie “i cacciatori franchi calabresi sotto altro nome i briganti travestiti”. Il 14 giugno, la flotta, prima di proseguire verso il golfo di Napoli, sbarcò dei contingenti di truppe regolari e di massa a Villa San Giovanni ed a Gioia Tauro. Nel golfo di Napoli, il generale Stuart, dopo aver occupato l’isola d’Ischia, avuta notizia della vittoria di Napoleone ad Wagram, si rese conto che sulla terraferma non aveva nessuna speranza di vittoria e quindi fece ritorno in Sicilia. Nel frattempo Murat, incerto sul vero punto di sbarco della spedizione, ordinò al generale Parthonneaux di concentrare tutte le truppe presenti nella parte più meridionale della Calabria nella città di Monteleone, per essere pronto a raggiungere il punto dove si sarebbe effettivamente verificato lo sbarco più massiccio. Il generale Guglielmo Pepe, nelle sue memorie, precisa che fu proprio lui il latore degli ordini di Murat e che in base a queste disposizioni il generale Partennaux (sic) avrebbe dovuto lasciare in tutta l’intera Calabria soltanto un battaglione. Ai francesi che lasciarono le nostre contrade si unirono quanti con loro erano notevolmente compromessi; prova di tale esodo è la giustificazione di spesa del 13 giugno riportata nei conti comunali di Sant’Eufemia d’Aspromonte6, conservata presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, dove è precisato che venne remunerato il corriere Giuseppe Chirico che da Reggio era giunto con ordini circolari per il Giudice di Pace, il quale, nel frattempo, era partito per seguire la truppa francese. Tuttavia la ritirata dei francesi non fu una fuga precipitosa, anzi il 12 giugno, il reggimento Tour d’Auvergne ributtò a mare gli inglesi del 21° reggimento che tentavano di riprendere Scilla e nei giorni successivi, prima di dare completa attuazione agli ordini di Murat, alcuni reparti d’elite diedero prova della loro abilità militare a Palmi in una rapida azione contro gli inglesi del 21° reggimento che, per il ritiro dei francesi, avevano facilmente occupato la cittadina.
I cronisti francesi narrano che l’azione fu decisa per dare una degna risposta ad una pesante provocazione del comandante degli inglesi, il maggiore scozzese Mackay, ufficiale famoso per aver perso nelle sue precedenti imprese militari un braccio ed un occhio e che, sempre secondo gli stessi cronisti francesi, acquistò ulteriore fama come carceriere di Napoleone a Sant’Elena, tuttavia questa ultima notizia non è sicura in quanto l’unico carceriere di Napoleone di cui si ha notizia certa era Hudson Lowe, famoso per essere stato il difensore dell’isola di Capri. Il maggiore Mackay, tronfio della potenza che incutevano le centinaia di navi che ancora ondeggiavano sul Tirreno meridionale, tentò di intimorire il generale Parthounneaux e proclamatosi Comandate della Calabria, ingiunse al generale francese il ritiro, entro 24 ore, di tutte le truppe da Monteleone, pena gravi rigori in caso di cattura. Il generale Parthounneaux, nella notte del 19 giugno, con due battaglioni ed uno squadrone di cavalleria, partì da Monteleone e noncurante del fatto che su molti campanili dei paesi della Piana già garriva il vessillo borbone, raggiunse Palmi un’ora prima del far del giorno travolgendo a passo di carica i sette uomini del posto di guardia inglese che bivaccavano tranquillamente sotto le piante degli ulivi, senza dar loro la possibilità di esplodere un solo colpo. I francesi poterono quindi penetrare silenziosamente nella cittadina e sorpresero gli altri soldati inglesi nel sonno, pochi di questi, prima di essere fatti prigionieri, riuscirono a scaricare le armi e l’arrogante maggiore Mackay ricevette un fendente di sciabola in testa che lo mise subito fuori combattimento. Il resto degli inglesi asserragliato nel quartiere militare tentò di resistere sparando dalle finestre ma quando i soldati si accorsero che le porte della caserma erano già in fiamme preferirono arrendersi. L’azione durò così poco che stava albeggiando quando ormai Palmi era di nuovo in mano francese. Il generale Parthounneaux, soddisfatto della lezione impartita agli inglesi, fece ritorno nella stessa giornata a Monteleone con 120, tra soldati ed ufficiali, prigionieri compreso il “grosso” ed arrogante maggiore Mackay. Nell’azione, i francesi lamentarono il ferimento del capitano Lemarie del 20° reggimento che fu colpito ad una gamba e morì dopo qualche giorno per non essersi voluto sottoporre all’amputazione dell’arto, ed il ferimento del sottotenente Roche dello stesso reggimento. Gli inglesi, nello scontro, persero il capitano Hunter ed un soldato ed ebbero 7 soldati feriti. Secondo altri cronisti inglesi tra i prigionieri vi fu anche il capitano Couran insieme a 2 sottotenenti, 4 sergenti, 2 “drummers” e 76 soldati mentre due cavalli e 4 muli risultarono dispersi! Dell’azione, parlano diversi scrittori calabresi tra cui il Guarna Logoteta che, in contrasto con la precedente versione, precisa che la vittoria fu merito del capo squadrone francese del 4° reggimento cacciatori a cavallo Grassan di stanza a Mileto che con alcuni distaccamenti del 22° reggimento di fanteria leggera e del 20° reggimento di linea ed i suoi cacciatori a cavallo, al comando del capo di battaglione Pochet, fece prigionieri 97 inglesi, ne uccise 25 oltre a far subire la stessa sorte a 18 volontari. Nelle memorie del colonnello Antonino Calcaterra l’impresa è attribuita soltanto a Grasson comandante del 9° cacciatori a cavallo. Il Greco nei suoi annali narra che il 20 giugno il generale Parthounneaux pubblicò un ordine del giorno in cui elogiò il comportamento dei partecipanti all’impresa e riportò le perdite del nemico; lo stesso scrittore precisa che nel successivo mese di Agosto ben 97 prigionieri inglesi, catturati in quella occasione, passarono per Cosenza. Il Monitore Napoletano, nel suo numero del 5 luglio, non parla di questo specifico episodio ma, più in generale, racconta che il generale Partounneaux, ritornando a marce forzate da Cosenza verso Scilla, rioccupò la città che era assediata dagli inglesi con pezzi di piccolo calibro e nell’accampamento nemico fece bottino di viveri e munizioni nemiche.
(continua nel prossimo numero)

Note:
1ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO CALABRIA (d’ora in poi ASRC), Conti comunali Bagnara, busta 59, fascicolo 236. 2ASRC, Conti comunali Bagnara, busta 59, fascicolo 236. 3ASRC, Conti comunali Bagnara, busta 59, fascicolo 236. 4ASRC, Conti comunali Galatro, busta 430 fascicolo 1598. 5ASRC, Real Collegio, inv. 42, busta 1, fasc. 2. 6ASRC, Real Collegio, inv. 42, busta 1, fasc. 2.