Domenico Santaguida
Poeta dei sentimenti di Orlando Accetta
È con grande trasporto che propongo la lettura di due componimenti di un poeta pizzitano, originario di Vallelonga, che ha svolto e concluso con dignità, scienza e coscienza, la sua lunga missione di insegnante elementare a Pizzo, città che ha amato intensamente, ricevendo rispetto e stima dai genitori e dai discepoli, davvero tanti, cui ha saputo inculcare il senso dell’educazione, della reciproca stima, dell’ubbidienza, oltre ad aver trasmesso cultura e conoscenza a profusione, con pazienza, con amore paterno, sempre prodigo di consigli e di attiva vicinanza nel momento del bisogno. Parlo di Domenico Santaguida, di cui mi vanto e mi onoro di essergli stato amico, perché era un galantuomo di vecchio stampo e perché era un poeta, attività che entrambi abbiamo condiviso in modo passionale.
Molti ed interessanti i premi a lui riconosciuti:
– Premio “Città di Valletta” (Malta) – Medaglia d’oro.
– Premio “Spadola Minerva d’oro”, IV Edizione – Medaglia d’oro.
– Accademia dei Bronzi, Catanzaro. Premio al merito internazionale “La Valletta” (Malta) – Croce d’oro in filigrana dei Cavalieri di Malta, pergamena e targa “Amici di Malta”: “Quale fraterno ringraziamento per la sua sensibilità nei nostri confronti, ma anche e soprattutto per la sua qualificata e autorevole partecipazione ad uno dei prestigiosi appuntamenti artistico-culturali internazionali.
– Accademia dei Bronzi, Catanzaro. Targa “Cavalieri di Malta” – Medaglia d’argento.
– Premio “Città di Catanzaro”, VI Edizione – Primo premio Medaglia d’oro e pergamena.
– Premio internazionale triennale “Italia Duemila 1989”, con superpremio “Trofeo del Mediterraneo – Roma”: “In riconoscimento dei brillanti risultati conseguiti nel corso dell’anno”.
– Premio internazionale “Oscar del mare” – Diploma d’onore con Medaglione aurato.
Era l’8 dicembre 1994, quando fui amichevolmente e gradevolmente invitato a casa sua perché aveva da dirmi qualcosa di urgente. La mia curiosità fu somma, tanto che decisi di incontrarlo subitamente, così mi recai da lui nelle prime ore del pomeriggio. Fui ricevuto con molta grazia dalla sua gentile signora che, evidentemente avvertita, mi accompagnò nel suo piccolo studio. Mi sedetti di fronte al prezioso poeta e amico e, con mia somma sorpresa e senza preamboli, mi consegnò una delle pochissime e rare copie dattiloscritte di propria mano delle sue poesie, con una speciale dedica:
«Pizzo, 8.12.1994
Ad Orlando Accetta, poeta che si fa apprezzare per la Duttilità Del Suo Poetare, Produttivo, Efficace, Apprezzabile, amico, del quale avere stima significa riconoscergli sincerità di sentimenti e lodevole socialità, espressi attraverso la sua poesia ed i suoi scritti.
Il mio vuole essere un modesto, ma affettuoso omaggio-ricordo.
Domenico Santaguida».
Mi commosse senza limiti quel gesto, anche perché enormemente gratificato della sua preferenza. Intitolò la sua silloge “Fiorellini di Siepe”, esternando anche le ragioni del suo scrivere poesie: «Perché scrivo poesie? Perché amo esprimere in versi i miei sentimenti intimi: affettivi, religiosi e di altra natura, e perché prediligo i temi morali e religiosi, soprattutto perché li ritengo anche educativi. Ritengo la poesia, poi, introspezione, come osservazione ed indagine delle proprie esperienze, che possono assumere anche il carattere di insegnamento per gli altri. Forse, nelle mie poesie, rivivo il carattere di insegnamento per gli altri. Ho indagato in me stesso ed ho tradotto in versi certi suggerimenti intimi. Presunzione? No! Non m’illudo di essere ritenuto, per questo, poeticamente pedagogista, anche se è vero che la poesia deve potere educare mente e cuore di chi legge, particolarmente nell’età scolare e giovanile.
Ricordando ancora un po’ del latino ginnasiale-seminaristico ho anche scritto: “Etiam si parva res sunt mea carmina, virtutem docere aliquid lectoribus habeant”. Completando, però, la mia frase con un’altra di Virgilio (Georgiche): Non “licet parva componere magnis” e non presumo che ciò avvenga! Presumo soltanto di voler lasciare ai miei figli ed ai miei nipoti un “memoriale”-ricordo, non di uomo illustre, ma di padre e di nonno. Anche se le mie poesie avranno un valore (virtutem) solo per loro e serviranno come insegnamento, perché sappiano vivere apprezzati e stimati, soprattutto moralmente, e avrò vinto il miglior premio, sia pure alla memoria!».
La critica, in parecchi concorsi in cui si è affermato, ricevendone premi in medaglie d’oro e d’argento, ha espresso giudizi favorevoli, scrivendo, in particolare, che il suo “è un verseggiare nitido ed efficace, di stampo classico ed assai scorrevole; ogni angolatura emozionale trova una precisa collocazione, quasi che il dipanarsi dell’afflato religioso, il desiderio di pace, l’esaltazione della natura e l’elemento affettivo costituiscano un grande ed unico sillabario di note in crescendo”, ed ancora “è una splendida tavolozza che dà calore e scorrevolezza ad un verso decisamente tradizionale ed altrettanto incisivo”. (Castellini-Ursini in “Arte e poesia dei nostri giorni”, 1992 e in “Repertorio di poesia contemporanea”, Antares-V. Ursini Editore, Catanzaro 1993).
Mi confidò, inoltre, di aver rifiutato alcune proposte di pubblicazione delle sue poesie, contravvenendo al concetto diffuso che chi scrive deve proporsi di farlo anche per gli altri, allo scopo di contribuire alla diffusione di ogni forma di cultura. Per segnalare ai più la pienezza dei suoi sentimenti, propongo la lettura di due suoi componimenti.
RIMEMBRANZE
Quando rimembro gli anni dell’infanzia
vissuti lungi dalle mura amiche,
tormentato da pianti e da grand’ansia
di ritornare alle colline apriche,
rivedo sempre, mite e sorridente,
il volto amato di persone care,
che non son più con me, ma nella mente
rivivo pure l’ore non amare
che mi videro allora, ancor bambino,
scorrazzare vivace sino a quando
non mi accolse, sperduto, il Seminario.
Era l’età felice al suo mattino:
giocavo spensierato solo amando
quel mio piccolo mondo o poco vario!
LA MIA CASETTA
I miei vagiti accolse picciol nido,
i miei primi lamenti di dolore,
un flebil pianto, qualche rauco grido,
i primi intensi palpiti del cuore.
Attorno vi era, in ansia, una parente,
una mammana dispensiera buona
di qualche tenerezza che val niente,
ché di affetto materno non risuona.
Ma or che quei vagiti ho già scordato,
tornando, fatto grande, ai luoghi cari,
rivedo la casetta, le sue mura,
e svegliasi l’amor dimenticato
assieme agli altri affetti familiari
e rimembrare è quasi averne cura.
Il poeta era nato a Vallelonga il 27.11.1913 ed è morto a Pizzo il 21.3.2000. La città di Antonino Anile pianse il colto e stimato personaggio, scomparso dopo una lunga malattia caratterizzata da atroci sofferenze, non solo fisiche.