LA SETTIMANA SANTA DI ORLANDO ACCETTA

LA SETTIMANA SANTA DI ORLANDO ACCETTA

LA SETTIMANA SANTA DI  ORLANDO ACCETTA

Introdotta dalla Dòmenica delle Palme succede la Settimana Santa, tanto attesa.

Col Lunedì Santo hanno inizio i veri e propri riti della Pasqua, rappresentazione della Primavera, del Bene e della Vita, che avrà la potenza di allon­tanare l’Inverno, il Male, la Morte.

– Nèsci tu sarda salata (Corajìsima), cà trasu io, la disijàta (Pasqua).

(Fatti da parte, sarda salata, perché arrivo io, la desiderata).

Per il popolo cattolico tutta la Settimana Santa è il tempo da dedicare alla riflessione, alla meditazione ed alla preghiera; è pregna di liturgia, attraverso cui si riporta alla memoria dei Credenti il percorso fatto da Ge­sù a partire dall’ingresso trionfale a Gerusalemme fino alla sua risurrezio­ne : ultima cena, arresto, processo, tortura, crocifissione, morte, risurrezione.

La sera del Mercoledì Santo è dedicata all’allestimento scenico della rap­presentazione della Via Crucis, rito antichissimo fatto di 14 Stazioni o tappe : perdura anche la Stazione dlella Veronica (VI Stazione), che ricor­da la pia donna che facendosi largo tra la folla, impietositasi, si avvi­cinò a Gesù in cammino verso il Calvario per detergergli il viso, bagnato di sudore e di sangue. E perdura nonostante che il Papa Giovanni Paolo II nel 1991 decise di abolirla, in quanto trattasi di una Stazione che non ha alcun riscontro biblico. La Via Crucis, a Pizzo, è interamente gestita e commentata da laici, sotto la guida del parroco della Chiesa di San Giorgio, attraverso  personali meditazioni fatte calare nella realtà, attualizzandone il significato ed i valori.

Ogni tappa ( o Stazione) viene interrotta da canti e preghiere comunitarie, che accompagnano via via la processione condotta dal sacerdote nei Vari spostamenti sotto le navate laterali.

Col Giovedì Santo si dà inizio , al Triduo Pasquale, che sintetizza e riassume il mistero della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù e con cui si conclude il tempo della Quaresima: il Triduo è il culmine delle celebrazionì pasquali e con questo rito si entra neI vivo delle varie commemorazioni liturgiche, ad incominciare dalle celebrazioni dell’Ultima Cena  (Coena Domini), che ricorda l’istituzione, da parte di Gesù  del Sacramento dell’ Euca­restia  o Comunione.

In effetti, il Triduo ha inizio a Mileto, presso la Cattedrale Vescovile, dove viene concelebrata la ‘Messa Crismale o Messa del Sacro Crisma, con la partecipazione di tutti i sacerdoti disponibili della Diocesi di Mileto-­Nicotera—Tropea.

Durante lo svolgimento della Messa Crismale, che normalmente inizia intor­no alle ore 10, il Vescovo  benedice gli oli per gli infermi e per i catecumeni. Tali olii sacri serviranno, durante tutto l’anno liturgico, per poter amministrare i Sacramenti del. Battesimo, della Cresima, e dell ‘Estrema Unzione.

Di sera, poi, in tutte le chiese della Diocesi, quindi anche in quelle di Pizzo si celebra,come già scritto, quella che viene chiamata “‘a Missa d’‘i Missi” (la Grande Messa vespertina dellaCoena Domini). Nella Chiesa di San Giorgio,’il rito viene accompagnato e completato dalla particolare e scenografica funzione della lavanda dei piedi ai 12 Apostoli, per fare risaltare la missione di servizio e di umiltà di Gesù sulla terra, che va continuata dagli uomini, dalla benedizione del pane.

Molto attesa, ancora, è la Processione degli Apostoli, rappresentati da al­cuni fedeli della Chiesa di San Sebastiano, vestiti con paramenti appropria­ti e con lunghe parrucche alla testa. Ogni Apostolo ha un segno che lo con­traddistingue: Pietro, ad esempio, porta in mano un pesante e numeroso mazzo di chiavi, per simboleggiare che è il capo della Chiesa e il guardiano del Paradiso.

Gli Apostoli, nelle prime ore della sera, preceduti dal Priore, dagli As­sistenti e da tutti gli altri “fratelli” della Arciconfraternita di San Sebastiano, procedono, in silenzio e composti, accompagnati da un lungo stuolo di ragazzi e di curiosi, fino alla Chiesa di San Giorgio, dove ac­colti con estremo rispetto dai numerosi fedeli e da non pochi turisti qui giunti appositamente, si sistemano a semicerchio sull’altare maggiore, con al centro il parroco.

Al termine della messa vespertina dell’Ultima Cena (‘a Missa d’ ‘i Missi) il sacerdote, in solennità, porta l’Eucarestia all’altare della “reposizione”, detto comunemente  “SEPOLCRO”, esposto per l’adorazione da parte dei  credenti.       Tale adorazione durerà fino a mezzogiorno dell’ indomani, Venerdì Santo. In tutte le chiese di Pizzo, c’è l’usanza di approntare il Sepolcro, luogo di adorazione e di preghiera, abbellito ed ornato da fiori e nastri colorati, da vasi e da piatti pieni di germogli di ceci, di grano, di lenticchie, con l’accortezza di farli crescere al buio (dentro un mobile) per non far1i diventare scuri.

Durante la messa, il parroco lava e bacia i piedi dei 12 Apostoli. Questa cerimonia è molto sentita dai pizzitani, anche da quelli della diaspora che qui ritornano numerosi ogni anno per seguire i vari riti pasquali. Quindi viene fatto scendere il grande telone dei pittori locali Zimatore— Grillo, che rappresenta in modo superbo la crocifissione di Gesù sul Cal­vario insieme ai due ladroni. Da questo momento le campane non possono più suonare. Un tempo, in segno di lutto, venivano coperte con teli neri tut­te le statue e i quadri presenti in chiesa, mentre, per annunziare l’ini­zio delle varie funzioni religiose e per ricordare che era tempo di penitenza e di preghiera, si utilizzava la bàttola (“tocca”), uno ‘strumento di legno a cui si attaccavano una o due maniglie mobili di ferro per pro­durre rumore.

I contadini, in questa ricorrenza, usavano costruire per i loro figli del­le particolari “tocche”, servendosi di piccoli cilindri di canna secca e di rocchetti (cilindretti di legno forati al centro e slargati agli estre­mi) che le mogli avevano l’accortezza di conservare appositamente dopo aver consumato il filo ad essi arrotolato.

“I Sepùrcri” vengono visitati dai pizzitani, isolati o in gruppi, con un via vai che ravviva tutte le strade del paese, fino alla mezzanotte, e, per chi non può farlo di notte, fino al mezzogiorno del seguente Venerdì  Santo. C’è l’usanza di visitare almeno tre sepolcri, comunque sempre in numero dispari.

“O Sepùrcru visitàtu,

si la Sanda Celestìa.

Di li lacrimi vagnàtu

di la Vergini Maria”~

La Pasqua, per i pizzitani, è la festa più sentita, forse più del Natale, carica di commozione e di drammaticità, specialmente il Venerdì Santo. Rimangono tutte le antiche tradizioni, anche se un po’ affievolite.

La mattina del Venerdì santo vengono tolti dall’Urna della “reposizione” il Calice e l’Ostia e, riportati nell’Altare Maggiore, vengono consumati dal sacerdote che non consacra le Sacre Specie nel rito chiamato “solenne  azione liturgica” e conosciuto dal popolo come “Missa paccia”.

La sera del Venerdì Santo è interamente dedicata alla Passione del Signo­re (dai pizzitani detta “Agonia” ed alla Processione dell’Addolorata,che partendo dalla Chiesa di San Giorgio Martire, accompagnata da una folla strabocchevole che canta a voce alta alcune nenie tradizionali in dialetto pizzitano, raggiunge la Chiesa di San Sebastiano.

Il Venerdì Santo la Messa non viene celebrata e’l’Eucarestia che viene dis­tribuita ai fedeli è quella che era stata consacrata durante la Messa del Giovedì Santo (Ultima Coena Domini).

La liturgia del Venerdì Santo (“In:Morte Domini”) avviene attraverso tre mo­menti ben distinti :

— “Liturgia della Parola”, che ne è il fulcro, caratterizzata dalla proclama­zione della   “Passione

del Signore”

—“Adorazione della Croce”——

—“Distribuzione della Eucarestia” o Comunione dell’Assemblea”.

Il rito, nel suo insieme, viene chiamato “L’Agonia d’’u signori”.

Finita 1’Actio liturgica ”In Morte Domini”, propriamente  detta, con la distri buzione dell’Eucarestia consacrata il giorno prima (essendo il Venerdì San­to l’unico giorno aliturgico dell’anno, come unico giorno in cui non si celebra la Mes$a,  tanto è incombente la celebrazione quasi visiva della Morte del Signore, di cui la Messa è la rinnovazione), seguono, quasi un rito a se stante, le famose “Prediche di Passione” o “Prediche delle Sette Parole” o “Sette Chiamate”, molto attese dalla fantasia popolare per la loro dramma­ticità.

I Setti  Palori” o “Setti Cbjamàti”, altro non sono che delle particolari omelie, o prediche intervallate da preghiere della folla déi fedeli, attra­verso cui si fa memoria del dramma di Cristo, rivissuto attraverso il dolo­re patito dalla Madonna per la Passione e Morte di Gesù.

Un tempo, giunti al punto della “Passione” ove si legge: “E, chinato il capo spirò”, si udiva un frastuono tremendo (‘u terramòtu) cui partecipa­vano i fedeli (particolarmente i ragazzini e i giovanetti) presenti in chiesa, sbattendo i piedi sugli inginocchiatoi, sulle sedie e, specialmente, su una pedana di assi di legno approntata precedentemente, appena sotto l’al­tare o vicino la porta d’ ingresso della Chiesa di San Giorgio : era davve­ro impressionante il rumore e la confusione, tali da incutere timore a chi non era stato in precedentemente preparato a questa usanza.

Ecco come viene descritto il “terramòtu” dallo scrittore pizzitano David Donato:

“Il mercoledì sera, invece, nella Chiesa di San Giorgio, veniva proposto ai fedeli l’evento del terremoto che si avvertì allorquando sul Golgota,  esalò l’ultimo respiro. E  mai “revival” fu così vicino alla realtà, in quan­to la scalmana dei ragazzi andava ben oltre la finzione , facendo temere che il sisma si verificasse artificiosamente coi loro alti balzi su appo­siti tavolacci e con il loro furioso battere su pezzi di legno di ogni spessore, il tutto frammisto al gracchiare di centinaia di raganelle, fatte girare vorticosamente. Essi non imitavano il terremoto del Golgota, ma lo superavano di gran lunga, poco mancando, ogni anno, – che la chiesa rovinas­se loro addosso durante quei dieci minuti di gran baraonda” (da “Calabria Letteraria”,pagg. 66/67, n. 1/2/3 —–1986).

Durante le”Setti Palori”,vengono spente le luci e, attraverso il portone prin­cipale della Chiesa di San Giorgio, si fa entrare la bellissima statua del­la Madonna Addolorata, precedentemente collocata nei locali attigui alla sacrestia, portata a spalla da alcuni marinai venuti appositamente dalla vicina Capitaneria di Porto di Vibo Marina.

Nel buio, la statua, avanza lentamente, per evidenziare la mestizia del mo mento, verso l’Altare Centrale, “chjamata” sette volte, cioè invocata solennemente e con parole di grande effetto, dal padre predicatore, che l’atten­de con in mano il Crocifisso.

Avviene,  quindi, simbolicamente, l’ incontro della Madonna Addolorata col proprio Figlio Morto : sono momenti di struggente drammaticità, dal popolo  presente vissuti intensamente.

Ed ecco (un antico canto pizzitano, intonato alla Passione di Gesù, Cristo;

 

Vènnarj fu natu pe’ doluri

E fu pigghjàtu Gesù Onnipotendi, e”ndornu ‘ndornu stava tutt’ ‘a gendi. Lu  chjandu  chi facià la Mamma duci,

 

lu Patri s’era tuttu dispiaciùtu. Vorrìa sapìri cu’ portàu la Cruci,

si furu li spallùzzi dilicati, oppuramèndi si furu l’amici,

 

cà Gesù  jia cadèndu pe’ lli strati. Acqua  cercàu e non di ‘potti  avìri:

ngi dèzzaru la sponsa ’ndussicàta. Poi li prufeti lu jenu a vidiri,

lu dìssaru a Maria la ‘Ndolorata.

— ‘Ndolorata Maria, povera donna,

ca lu toi fìgghju jìu a la cundànna!’ Maria, non l’aspettari cchjùni ‘ncasa,

 

è cundannàtu di Pilatu ed Anna –

Si parti scunzulàta la Madonna pemmu vaci a trovai lu  soi fìgghju. Lu trova ch’è appojàtu a ‘na culonna:

 

giaci a la Cruci e cu li mani a canna.

— Fìgghju, non sai li peni chi portasti’

“nda  casa di Simuni e  Matalena!

O Gianni,  bella nova chi mi porti!

 

Dimmi s’u fìgghju mio è vivu o mortu -.

—        S’è vivu o mortu mo’ jàmu a vidìri, la strata di Cafarnu mu pigghjàmu -. Quandu arrivàru a la prima città

       jà la jettaru ‘na torrendi vuci.

Passa la langia, e la cava1leria li chjòvi, li mortèja preparàtj. Passa Gesùzzu e dici: -0 Matri mia-;

 

Vàju pe’ sumbortàri li doluri —.

O Fìgghju Sandu di lu cori mio cusì lu cumandàu l’Eternu Patri, Figghju, l’Eternu Patri accussì vozzi.

 

D’ accussì vozzj, ed accussì mu sia—

-~ Di vui aspettu grazzia, Mamma mia-.

Mentre all’interno della chiesa si svolgono i riti delle “Setti Palori” e dell’incontro della “ ‘Ndolorata” col Cristo Crocifisso, all’esterno si crea una tale moltitudine di gente per cui tutte le strade del centro storico intorno alla Piazza della Repubblica appaiono come un alveare: nessuno spazio, anche il più piccolo, viene risparmiato. La presenza dei fedeli e del turisti, che qui arrivano da tutto il circondano, viene normalmente valutata intorno alle 10.000 unità.

La statua della Madonna “‘Ndolorata”, portata a spalla da marinai, si av­via, lentamente e mèstamente, verso l’esterno, seguita dalla folla di fede­li ‘che si trovano in chiesa, a cui man mano si aggiungono gli altri che, frementi, stanno aspettando fuori.

Frattando dentro la Chiesa dell’Immacolata viene portata la statua di San Gianni”, San Giovanni.

La piazza è completamente libera al centro, dallo “Spuntone” alla “‘Mmaculata” (Chiesa dell’Immacolata).

La processione procede per il solito e noto percorso, per Via Musolino. “Timpa”, Via Castello, “Spuntone”. –

La “‘Ndolorata”, all’altezza dello “Spuntone” si ferma.

Questo. è un momento di grandissima emozione e trepidazione che bisognerebbe  provare personalmente.

Dal lato opposto, mentre la “ ‘Ndolorata” avvolta nel suo manto nero ripren­de il suo lento cammino verso “ ‘U Carbàriu” (Il Calvario), simbolicamente rappresentato dalla Chiesa di San Sebastiano nella zona alta del paese, “San Gianni  trasportato.a spalla da otto robusti giovanotti, di gran corsa at­traversa la piazza fino ad incontrarsi ed affiancarsi alla, “ ‘Ndolorata”. La fiumana umana osserva compostamente e in un silenzio interrotto soltan­to dal cupo e triste suono di un tamburo listato a lutto’.

La “Affrundata” è avvenuta: la Madonna è stata avvisata che il suo diletto Figliolo è morto sulla Croce!

Questa è la simbologia della “Chjamàta” o “Affrundàta” a Pizzo.

-La processione procede fino alla Chiesa di San Sebastiano, dove si trova la bara del Cristo Morto (‘U Signuri Mortu), seguita dalla Banda che suona tristi nenie, alternandosi con gli antichi canti della folla che l’accompagna.

 

Per il Sabato Santo, presso la Chiesa di San Sebastiano., si prepara la pro­cessione del Cristo Morto (‘U Signuri Mortu).

Un tempo si metteva all’ incanto l’incarico di portare la statua del Gesù Morto e quella dell’Addolorata, ed era motivo di orgoglio ottenere questo privilegio.

La “Gloria”, cioè la Risurrezione di Cristo ,veniva annunziata  a mezzogiorno del Sabato Santo (oggi è a mezzanotte), al suono festoso delle campane di tutte ‘le chiese della cittadina. Le massaie, che per l’occasione preparava­no i caratteristici dolci (mustazzòli c’ ‘annaspru), di cui alcuni erano con uova sode (‘i cambanàri), consegnavano appunto “‘i cambanàri” (fino a quel momento ben custoditi perchè era vietato mangiàrli prima, altrimenti ci si “cammaràva”) ai propri figli, che felici li facevano scombarire in un batter d’occhi.

Il “cambanàru” più grosso — con tre o cinque uova — era del capo famiglia.

 

L’interesse è tutto incentrato alla “Processiòni d’’u Signuri Mortu”, altrimenti detta ”Processiòni di I’Angialèji”, che accompagna il Cristo Morto, dentro una bara coperta di veli. La bara oggi è portata dai fratelli della Arciconfraternita di San Sebastiano, vestiti con abiti neri, guanti, bianchi e con la testa cinta da’ una corona di spine.

L’imponente processione, a cui partecipano anche autorità civili e milita­ri, apre con lo stesso tamburo  listato a  lutto che ha accompagnato l’Addolorata e San Giovanni nella processione della sera di Venerdì Santo. Segue la Croce nera, bordata con un nastro bianco. Il corteo è accompagnato. dalle tristi nenie di una banda musicale, appositamente invitata, oltre che da canti e preghiere dei fedeli. Esso si avvia intorno alle ore 9.30 dalla zona alta del paese, attraverso la Via Nazionale. Questa parte di Pizzo nel corso degli anni ha cambiato completamente aspetto, sicuramente in peggio. A destra e a sinistra insistevano degli orti meravigliosi, adesso; ci sono soltanto enormi  e, antiestetici palazzacci, fatti costruire senza . alcuna re­gola da amministratori miopi ed incompetenti.

Si sente la banda “forastèra”, mentre un tempo c’era la banda di “Cicciu Rosi”, popolare Maestro, del posto, conosciuto ed apprezzato anche fuori del­la Calabria.

Come si avanza, la processione diviene una vera e propria, fiumana di gente, che qui arriva da tutto il circondano e non solo.

Dalla parte  nuova, superando la Via Nazionale e percorrendo la Via Marcello Salomone, si arriva alla parte vecchia con le sue  caratteristiche vie e con i suoi stretti vicoli medioevali.

Tutto, oramai, è diventato uno spettacolo variopinto, con una moltitudine inimmaginabile di. persone.

C’è chi chiacchiera, chi critica, ma  c’è anche e soprattutto chi canta e prega. –

Ogni tanto la banda smette di suonare, ma non si ferma il corteo, che or­mai è davvero un fiume in piena.  Non si può descrivere ciò che andrebbe  soltanto osservato di persona:’ è davvero difficile farlo.

 

Si è arrivati in Piazza della Repubblica che è  il cuore ed il polmone del paese dove si celebrano e  si raccontano tutti gli avvenimenti, politici e sociali, bellie brutti: qui,  il corteo si ferma per alcuni minuti, per proseguire, poi, verso la “Marina”. Esso si concluderà intorno alle ore 14, tutti stanchi, ma emotivamente coinvolti in un avvenimento ‘che di anno in anno, nonostante il “progresso”, non va mai scemandosi.

La sera dél Sabato Santo, l’Addodorata, che al termine della processione, insieme alle altre statue, viene portata nella Chiesa di San Sebastiano, scende in processione verso la Chiesa di San Giorgio, alla quale appartiene:

trattasi di’una processione di “trasferimento”, ma accolta dal popolo con la stessa intensità e benevolenza di quella del Venerdì Santo.  Ci sono alcune ore di intervallo da dedicarsi alle preghiere e alle medita­zioni personali, poi, il Triduo Pasquale, apertosi con la Coena Domini, si conclude con la “Missa d’‘a Gloria” della mezzanotte, con la celebrazione della  Veglia Pasquale  in attesa della Risurrezione del Cristo.

E’ la notte di veglia in onore del Signore, quella che Sant’Agostino chiama “la veglia madre di tutte le veglie”.

E’ la notte in cui si celebra il passaggio del Signore per salvare e li­berare il suo popolo oppresso dalla schiavitù, passando alla vita vincen­do la morte, il grande nemico dell’uomo.

E’ anche la notte in cui si celebra il memoriale del passaggio dell’uomo in Dio attraverso il Battesimo, la Cresima e la Comunione.

All’inizio della Veglia Pasquale c’è il primo simbolo, rappre­sentato dalla “Liturgia della Luce” (la tenebra è attraversata dalla Luce, che è il Cristo Risorto, in cui Dio ha realizzato il suo progetto di sal­vezza per l’uomo), con la benedizione del fuoco, la preparazione del cero pasquale, la processione del cero pasquale e il preconio o annunzio pasquale.

Il secondo simbolo è la “Liturgia della Parola”, con le 7 letture dell’An­tico Testamento, che sintetizzano la storia della salvezza attraverso le tappe percorse dal popolo di Dio alla Risurrezione del Signore.

Il terzo simbolo è la “Liturgia battesimale”, che riporta alla memoria il battesimo dei catecumeni, immersi nell’acqua per la loro rinascita a nuova vita. Tutti i fedeli in questa notte sono chiamati a rinnovare le loro promesse battesimali.

Il quarto simbolo è la “Liturgia eucaristica”: il popolo rigenerato nel bat­tesimo, per mezzo dello Spirito Santo, viene ammesso al convivio pasquale con la partecipazione al corpo e al sangue del Signore.

La Domenica di Pasqua è dedicata alla scambio, in Piazza della Repubblica, degli auguri di pace e di perdono: chi ha dei “nimìci” si deve riappacificare. Era d’uso anche baciare la mano del capo famiglia, in segno di ri­spetto e di ubbidienza: cose oramai, oggi, fuori moda, purtroppo!

Il lunedì dopo Pasqua è dedicato al “Galilèu”,cioè ai picnic in campagna, tempo permettendo.

Per concludere, una curiosità: il giorno del “Galilèu” dei pizzitani era ed è il martedì, da trascorrersi con una abbondante colazione a base di frosa (frittata ripiena di ricotta, salame “zzirìnguli”), innaffiata di buon vi­no locale (zibibbo,prevalentemente) accompagnata da canti e suoni di chitarra e fisarmonica.

Le ragioni di tale usanza vanno ricercate sicuramente nel fatto che  la giornata del lunedì è riservata all’accoglienza dei “forastèri”, che letteralmente aggrediscono l’accogliente e gradevole cittadina tirrenica, i cui abitanti, è notorio, hanno alto il senso dell’ospitalità.

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